17 dicembre 2007

Testamento biologico

Oggi leggo su diversi organi di stampa che 6 medici su 10 "praticano la desistenza terapeutica ovvero interrompono le terapie. Seguendo scienza e coscienza. Ma in segreto. In silenzio. Se lo scrivessero in cartella clinica verrebbero accusati di omicidio volontario." Detto così sembra che la maggioranza dei medici effettua abitualmente segrete ed illegali pratiche di eutanasia quindi i tempi sarebbero maturi per una Legge sul testamento biologico.

I dati saranno anche veri, ma la conclusione mi sembra del tutto sbagliata.
Il medico che decide di non insistere oltre un certo limite per evitare un inutile "accanimento terapeutico" sta solo facendo il proprio mestiere, non sta praticando una segreta ed illegale eutanasia. Il medico non è un esecutore tecnico di procedure prestabilite. Il medico è il professionista a cui liberamente e volontariamente affidiamo la cura della nostra salute che in casi estremi è la stessa vita. Sappiamo che il medico può anche sbagliare perciò la legge ci garantisce ampia libertà di scelta e diritto all'informazione. Però le informazioni che il medico può fornire a noi che non abbiamo conoscenze mediche sono necessariamente approssimative, insufficienti per una scelta davvero consapevole. Quello che viene chiamato "consenso informato" contiene sempre un atto di fiducia nei confronti del medico.

Il medico sarà punito qualora dovesse commettere errori, cioè azioni contrarie alle regole della scienza medica, ma tra l'errore e la perfetta guarigione c'è un grande spazio in cui le valutazioni restano affidate alle capacità personali e alla saggezza del singolo medico. Come si può pensare di annullare questo spazio di manovra? come si può pensare ad una legge che obbliga il medico ad agire in un senso o nell'altro? come potrebbe una legge codificare l'infinità varietà dei casi che si possono presentare davanti agli occhi del medico?

Il testamento biologico significa rimettere tutta la responsabilità nelle mani del paziente, ma credete che il paziente possa fare la scelta giusta quando si esprime su una situazione che non gli è ancora accaduta e che non conosce? Sarebbe come chiedere ad un bambino cosa vuol fare da grande e poi ritenere che la risposta costituisca un vincolo per tutti.

Le due tesi di affidare tutta la decisione al sovrano (la legge) oppure tutta al cittadino (il futuro malato) sono a mio avviso due soluzioni estreme che ci portano verso una disumanizzazione delle delicate relazioni tra medico, paziente e familiari coinvolti. Tra sovrano e cittadino è giusto che ci sia una distribuzione intermedia di poteri discrezionali. Lasciamo ai medici il loro delicato e difficile lavoro senza l'assurda pretesa di arrivare a soluzioni perfette. Occorre insegnare agli studenti di medicina che il loro mestiere non sarà fatto solo di diagnosi e terapie, ma ci sarà anche il dovere gravoso e angoscioso di valutare con la massima saggezza e prudenza qual è il momento di arrendersi al dominio della natura evitando sia l'orrore dell'accanimento terapeutico, sia l'orrore di una morte programmata. Sulla scelta del medico sicuramente graverà anche  l'opinione dei congiunti e, se ci sono, le volontà precedenteente espresse dal malato, ma nessuno di questi elementi può essere posto come vincolo assulto per gli altri. Una dichiarazione scritta in un lontano passato, quando il malato non era malato, non può cadere come una scure sulle valutazioni che sempre si pongono ai medici e ai congiunti di fronte ai casi difficili ed estremi della vita.
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