22 dicembre 2007

Mortal Kombat

Una ragazzina di 16 anni (Heather) residente a Westminster, nel Colorado, lo scorso 6 dicembre doveva vigilare sulla sorellina di 7 anni mentre la madre era al lavoro. La ragazza ha invitato in casa un coetaneo. Hanno giocato a "Mortal Kombat" sulla playstation e poi hanno ripetuto il gioco sulla sorellina uccidendola di botte.

Anche qui ritroviamo la mostruosa banalità del male.

Il delitto commesso è atroce. Lo è per la familiarità, la modalità, l'assenza di motivi, l'assoluta innocenza della piccola vittima. I due adolescenti ora rischiano 48 anni di carcere. La legge americana non protegge nemmeno i loro nomi. Ma sono davvero colpevoli quei ragazzi?



Imitare quello che vedono fare dagli adulti non fa parte della normale esperienza di crescita di tutti gli adolescenti? e non è altrettanto normale apprendere anche da ciò che si vede negli schermi della Tv e dei costosi videogiochi? Qui però andiamo a toccare un limite sacro. Per assolvere o attenuare la pena dei giovani assassini è necessaria una chiamata di correità delle grandi industrie dello spettacolo e del divertimento, divinità oggi intoccabili. L'uomo moderno uccide per eseguire gli ordini e i desideri di questi malvagi numi che nessuno può trascinare davanti al giudice.

Anche nel caso tutto italiano dei fidanzatini di Novi Ligure, nessuno ha osato evocare il film che proprio in quel periodo girava nelle sale cinematografiche e che potrebbe aver ispirato il loro terribile gesto: American Beauty. E' solo un film, appartiene all'Olimpo della celluloide, gode della divina immunità.

Cosa farebbe Salomone se fosse chiamato a giudicare questi casi? non ordinerebbe di fare a pezzi gli imputati per vedere quale produttore si alza per primo a gridare: "no, salvateli, io preferisco che sia bruciato il mio film, che sia ritirato dal mercato il mio turpe videogioco!". E non sarebbero da condannare tutti i produttori che una tale possibilità non riescono nemmeno a prenderla in considerazione?