2 maggio 2008

Redditi e privacy

La decisione del ministro Visco di pubblicare l'elenco dei contribuenti sul sito dell'Agenzia delle Entrate ha scatenato una serie di polemiche: tutela della privacy, esposizione alla curiosità morbosa dei vicini, colonna infame...

Stupisce soprattutto che a protestare sia stato Beppe Grillo, paladino della legalità e della trasparenza che da anni chiede la pubblicazione dei bilanci aziendali in modo che tutti possano controllare la giusta proporzione tra i profitti delle aziende e gli stipendi dei manager.



In realtà la decisione di Visco è solo un'attuazione della norma (art.69 DPR 600/1973) che prevede, come in tutti i paesi democratici, la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti. E' un atto di legalità e di trasparenza che molti, soprattutto tra i seguaci di Grillo, hanno saputo giustamente apprezzare. Però è già arrivato lo stop del Garante della Privacy, non perché quei dati siano attinenti alla sfera personale e sensibile dell'individuo, ma solo perché la modalità di pubblicazione è apparsa inadatta.

La privacy protegge certi aspetti intimi della persona e impone particolari modalità di trattamento anche per i dati personali "pubblici". In base al primo principio ciascuno ha diritto a proteggere la riservatezza delle proprie credenze religiose, del proprio stato di salute, delle proprie preferenze sessuali, delle proprie opinioni politiche, ma anche queste informazioni diventano pubbliche in certe circostanze. Come posso proteggere la riservatezza della mia fede quando partecipo alla messa domenicale insieme a tutti gli altri parrocchiani? come posso proteggere la riservatezza delle mie opinioni politiche quando decido di candidarmi? come posso proteggere la riservatezza della mia vita sessuale quando decido di sposarmi? come posso nascondere le mie origini etniche se chiunque può riconoscerle dai miei tratti somatici?

Chi pensa che la tutela della privacy sia assoluta non si rende conto che la riservatezza è un principio contrario ed incompatibile con la vita sociale. Una privacy estesa a tutti i dati personali e tutelata in tutte le situazioni equivale alla disintegrazione della collettività.

Se vogliamo conservare l'istituto della famiglia legittima è necessario mantenere la pubblicità del matrimonio. Se vogliamo che sia la comunità a garantirci la qualità di certe prestazioni professionali dobbiamo accettare che siano pubblici tutti gli albi professionali con relativi nomi, indirizzi e recapiti. Se vogliamo frequentare corsi che ci rilasciano titoli di studio con valore legale, cioè riconosciuto da tutti, dobbiamo accettare l'esposizione pubblica dei quadri con voti assegnati dalle scuole. Se vogliamo avere una vita di relazione dobbiamo esporci al giudizio degli altri mostrando il nostro volto e il nostro stile personale.

Per gli atti che hanno rilevanza sociale nessuno può invocare la privacy. La riservatezza può essere tutelata solo per cose strettamente personali e dobbiamo rinunciare anche a queste quando decidiamo di svolgere un ruolo pubblico. Però possiamo pretendere che i nostri dati siano trattati in modo adeguato alle esigenze e non siano divulgati quando non vi è alcuna ragione per farlo.

Possiamo tutelare la riservatezza del nostro reddito? in altre parole il denaro è pubblico o privato?

Ci sono due risposte per questa domanda: una giuridica e una sociologica.

Dal punto di vista giuridico possiamo rispondere in modo analogo a chi domandasse se la nostra faccia è pubblica o privata.

La legge stabilisce che ciascuno ha diritto alla propria immagine e quindi può impedire che altri ne facciano uso pubblicando la propria fotografia su una rivista o un manifesto. Però la titolarità di questo diritto non ci consente di nascondere il volto durante in una pubblica prova d'esame, né di oscurare la fotografia sulla carta d'identità, sulla patente o sul passaporto. Nel punto di contatto del singolo con la comunità la faccia diventa pubblica. Così è per il reddito. Io non sono tenuto a dire a nessuno dove conservo i miei soldi e non devo dichiarare le mie intenzioni di spesa o di risparmio. Però la collettività mi impone di dichiarare quanto ho guadagnato nell'anno. Questo dato non è privato perché ciascuno trae il proprio reddito dalle relazioni con gli altri e come cittadino è tenuto a contribuire alla spesa pubblica in ragione della propria capacità economica, che dev'essere verificabile da tutti.

Se il reddito è come la fotografia sulla carta di identità significa che tutti quelli con cui entro in relazione avranno il diritto di vederla, ma nessuno ha il diritto di esporla al pubblico. La foto non deve finire sul giornale, salvo che non ci sia una ragione di pubblico interesse. Il problema allora è capire quale sia la natura del web. Se i dati immessi in rete sono equivalenti ad una pubblicazione sul giornale o ad un manifesto affisso nella pubblica via, allora l'esposizione può giustamente sembrare eccessiva. Se il web è solo una nuova modalità di funzionamento dei pubblici uffici allora è normale che siano accessibili tutti i dati non coperti da segreto: gli albi professionali, i titoli di studio, i bilanci aziendali, gli organigrammi degli enti pubblici, ecc. Chi volesse svolgere un'indagine potrebbe ricostruire dal web l'intero profilo pubblico di una persona e vedere l'età, la residenza, la professione, il reddito. Senza per questo aver violato la privacy che riguarda, come s'è detto, gli aspetti intimi della vita privata, non quelli che interferiscono con il ruolo sociale. Quello che noi dichiariamo allo Stato lo stiamo dichiarando all'intero popolo italiano.

Il problema quindi si riduce solo nell'individuazione delle giuste modalità di trattamento di dati personali che sono sicuramente pubblici. Per questo bisogna ricreare nel web la stessa differenza che c'è tra la piazza e lo sportello. Lo si può fare con muri virtuali. Gli elenchi dei contribuenti con i relativi redditi nel sito dell'Agenzia delle Entrate devono essere disponibili, ma non devono essere esposti all'anonimo passante. Si può imporre all'utente un obbligo di registrazione e fare in modo che il sistema fornisca risposte a singole interrogazioni mirate.

Dal punto di visto sociologico emerge un altro aspetto del problema, relativo alla sensibilità che porta molti a parlare di curiosità morbosa, come se i dati di carattere fiscale fossero parte dell'intimità personale. Un tempo si considerava avvolto in un sacro mistero ciò che riguardava la sessualità e di conseguenza era considerata oscena l'esposizione della nudità e morbose le curiosità di tipo sessuale. Ora è sacro soltanto il denaro perciò ci appare oscena e pornografica ogni esibizione del nostro reddito, mentre accettiamo la diffusa esposizione di nudità e perfino la mercificazione della sessualità. Siamo nel regno del Vitello d'Oro.
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